Il contenimento si sposta a est. Vincitori di Nobel per la Pace a parte, si comincia a parlare dei fatti dietro i sorrisi. Arriva la visita del presidente Obama in Myanmar e sì, egli si incontrerà con la collega (tra Nobel!) Aung San Suu Kyi, e sì, egli parlerà di diritti umani e democrazia, con un richiamino d’obbligo alle recenti violenze sui Rohingya. Ma poi si sancirà ciò che è in atto da un po’ di tempo: una grande vittoria diplomatica degli Stati Uniti sulla Cina. Un gioco da milioni di dollari e milioni di soldatini.
La Birmania di Thein Sein ha intrapreso un processo di democratizzazione che genera tuttora stupore, soprattutto tra la stessa popolazione birmana ancora giustamente diffidente. Io lo chiamo piuttosto processo di apertura economica. Naypidaw ha forse capito di avere tutto da guadagnare nel far valere il proprio peso strategico, nonchè la propria ricchezza di risorse. Alla fine avrà capito che stare con Obama è meglio che stare con il politburo. La Cina ci ha messo del suo: non ha mai abbandonato quell’approccio “imperiale” verso i paesi vicini considerandoli stati tributari di Pechino, e generando così un certo disagio. E allora via: stop alle dighe, alle centrali e alle strade cinesi, e apertura ai capitali occidentali in cambio dell’apertura delle prigioni. Così i generali, ormai arricchitisi colla dittatura, smesse da tempo le divise, potranno conservare, investire, aumentare gli affari. Magari anche con l’obiettivo di riportare il paese agli splendori di un tempo. Eonomici e culturali.
Per gli USA questa visita ufficializza la vittoria diplomatica, tra le più importanti del dopo guerra fredda. Sancisce il nuovo indirizzo in politica estera di Washington. Ormai è una partita “cinese” e il Pacifico conta di più del vecchio mondo atlantico. Scema l’interesse per l’Europa in crisi e persino per il Medio Oriente, sempre così problematico. L’Asia cresce, unica parte del mondo, e l’Asia può risollevare anche la fiaccata economia americana. Ma bisogna vedersela con la crescente strapotenza cinese, economica e militare. L’obiettivo è dunque quello di contenerla, di fare in modo che non diventi l’unica nella regione. Anzi bisogna competere con essa almeno in termini di parità economica e militare appunto. E allora, in attesa che il 60% delle forze navali USA vengano spostate in Asia-Pacifico, Obama è andato a giocarsela direttamente a casa dei Cinesi, rubando loro l’alleato birmano. Di più: togliendo a Pechino lo sbocco sul golfo del Bengala. Basta guardare un planisfero per rendersi conto di quanto i Cinesi abbiano perso. Si potrebbe dire che Obama stia giocando a Weiqi, meglio noto col nome giapponese di Go, la dama (o gli scacchi) cinese: creare un anello tutto intorno alla Cina, con una catena di tanti alleati. Nel Go vince chi cattura più territorio circondando l’avversario. Ora c’è da aspettare la contromossa cinese. (ARo)