La notizia arriva come una sorpresa, una batosta. Il Giappone è sempre andato fiero di associare il nome della sua antica capitale ad un trattato internazionale di così grande importanza per il mondo intero. Forse anche per questo motivo ci aveva abituato ai suoi continui sforzi diplomatici per arrivare ad una condivisione quanto più possibile globale del Protocollo di Kyoto.
Firmato nel 1997 in Giappone, il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore solo nel 2005. Obbligherebbe gli stati a tagliare le emissioni nocive entro il 2012, una riduzione stimata in media del 5% basandosi sui dati delle emissioni nel 1990.
Una carta che già stentava a decollare per la mancata ratifica di paesi come Stati Uniti, nonché per l’esenzione dal rispettarne alcuni termini fondamentali concessa a India, Cina e altri grandi paesi in via di sviluppo.
Adesso proprio dai diplomatici nipponici arriva quello che potrebbe essere il colpo di scure definitivo, la ratifica del fallimento.
Alla Conferenza Mondiale sul Cambiamento Climatico che si sta svolgendo in questi giorni a Cancun, in Messico, i rappresentanti giapponesi lo hanno detto chiaramente: il Giappone non rinnoverà la propria adesione al Protocollo di Kyoto. “Non è un mezzo efficace per risolvere il cambiamento climatico mondiale”, ha detto Jun Arima (video), vice direttore per gli affari climatici di Tokyo, l’alto diplomatico che partecipa ai colloqui COP16 (Conference Of the Parties) .
Tale dichiarazione non è stata presa come una semplice mossa diplomatica per condurre le trattative, ma sembra piuttosto essere la posizione definitiva adottata dal governo di Tokyo. Lo hanno denunciato anche le organizazioni non governative giapponesi presenti a Cancun.
Christiana Figueres, Segrataria ONU per il cambiamento climatico, ha detto alla stampa: “E’ ormai chiaro che a Cancun dovremmo chiarire quello che è il cuore di questi negoziati, cioè che cosa ne sarà del Protocollo di Kyoto, come ancorare gli obiettivi e le azioni che i peasi dovranno portare avanti.”
La mossa del Giappone potrebbe rivelarsi molto pericolosa, inducendo anche altri paesi a non rispettare più i limiti alle emissioni, soprattutto i Grandi in via di sviluppo, come Cina, Brasile o India. (ARo)
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